Allen: Harry a pezzi
In Harry a pezzi Woody Allen "decostruisce" la vita e le opere di Harry Block, scrittore newyorchese interpretato dallo stesso regista. Allen "smonta" la figura di Harry inserendo nella storia principale (il racconto del viaggio di Harry verso la sua vecchia università, dove gli sarà conferita un'onorificenza per la sua attività di scrittore) flashback che narrano i momenti topici della vita del protagonista. Alcuni flashback, tuttavia, non sono tali: sono la rappresentazione di parti di opere letterarie di Harry. Opere letterarie che non sono altro che il racconto delle vicissitudini patite dal protagonista nella sua esistenza (vicissitudini appena camuffate: "it's me, thinly disguised", dice lo stesso Harry a un professore della sua vecchia università che gli ha domandato a cosa stia lavorando in quel momento). Proprio la sfacciataggine con cui Harry lava in piazza i propri panni sporchi - sfacciataggine non esente da livore e disonestà intellettuale - è uno dei leitmotiven della pellicola, attraverso il quale si rivela l'egocentrismo infantile del protagonista, tutto preso dai suoi capricci e dalle sue manie, indifferente alle conseguenze sulla vita altrui causate dalla pubblicazione delle sue opere. Un'indifferenza che talvolta si trasforma in desiderio di ferire, come quando rappresenta la sua seconda moglie prendendo a prestito dettagli della vita della sorellastra rielaborati caricaturalmente (il matrimonio con un ebreo ortodosso e il recupero della devozione religiosa). Ora, la sua seconda moglie è anche la madre del suo unico figlio. Ma questo non gli importa, non se ne rende, anzi, neppure conto. Quello che conta sono soltanto i suoi capricci e il desiderio d'essere assecondato in tutto e per tutto, dai bisogni sessuali alle posizioni filosofiche. Chiunque non accetti la sua fregola e il suo ateismo è deriso e schernito, o di persona (come quando la seconda moglie scopre che Harry ha una relazione con una delle sue pazienti), oppure con la penna.
Harry è in un vicolo cieco, da cui non può né vuole uscire. Da una parte c'è la dicotomia tra scienza e fede, che più volte torna con battute fulminanti ("tra il papa e il condizionatore, scelgo il condizionatore"). Dall'altra la foia psicoanalitica (di una psicoanalisi non so quanto "fedele" alle intenzioni del suo fondatore) di trovare la quadra della propria quotidianità mantenendo l'uomo scisso da qualunque riferimento "oggettivo", ossia extra-individualistico, non ego-centrato né antropocentrico (latu sensu). In entrambi i casi ci troviamo di fronte a un vicolo cieco, in cui annaspa la cultura e l'uomo novecentesco.
L'opposizione tra scienza e fede è l'opposizione tra due posizioni che non sono, o non sono più (è il caso della fede) concrete alternative di vita. La fede (sia essa cristiana o, come nel caso di Woody Allen, ebraica) è oramai svuotata, nella maggior parte dei casi, di un concreto riferimento esistenziale e ontologico. Avendo perduto il ruolo di guida non dei singoli, ma della società, si è ridotta a roccaforti polemiche che, tuttavia, vivono una quotidianità che non è più religiosamente plasmata e organizzata, ma che, anzi, si caratterizza, forse per la prima volta nella storia dell'umanità, per una pressoché totale assenza di religiosità, in qualunque forma essa si declini. Desacralizzazione del cosmo, disincanto del mondo: lo si chiami come si preferisce, non cambia la sostanza di quanto ciò comporta. La scienza, da par suo, benché abbia celebrato e celebri il proprio trionfo attraverso capacità predittive e applicazioni tecniche sbalordenti (altra cosa è la sua reale portata conoscitiva: deciderne implica anzitutto la scelta di un determinato concetto di conoscenza), è strutturalmente inadeguata a dare risposte ad alcuni dei principali problemi dell'esistenza umana. Dalle questioni morali (che, tra l'altro, la tecnologia ha moltiplicato) alle domande di senso, la scienza risulta priva di risposte. Non è, tuttavia, una critica al sapere scientifico. Semplicemente questi non sono problemi che la scienza si ponga. Problemi che possono stare anche a monte della ricerca, la cui soluzione può perfino condizionarla o bloccarla (si pensi a certe posizioni in materia di bioetica), ma, nel suo quotidiano divenire, non la riguardano. Anche la stessa idea che la ricerca debba comunque proseguire o, per dirla con l'enfasi di certuni, che "non si può bloccare il progresso", non le appartiene. Si tratta di una posizione filosofica pregna d'utopismo e d'ottimismo conoscitivo e, soprattutto, antropologico. Una posizione che spesso si ritrova nello scientismo, visione filosofica sorta nell'Ottocento e ancora diffusissima, se non dominante, nel mondo occidentale, anche dopo che Nietzsche e altri grandi filosofi hanno mostrato come certi valori morali associati alla scienza non siano altro che valori cristiani camuffati (l'onestà intellettuale, ritenuto valore cardine della ricerca scientifica, senza la quale è impossibile fare scienza, è un valore strumentale allo scopo di ottenere determinati risultati. Basti ricordare i grandi progressi avutisi durante il nazismo o la dedizione e l'entusiasmo delle migliaia di persone impegnate nel progetto Manhattan. E senza contare che l'onestà intellettuale la si può trovare anche nelle persone più spregevoli: si vedano le giustificazioni di Adolf Eichmann durante il processo di Gerusalemme, riportate da Hannah Arendt nel suo La banalità del male). Lo scientismo non è, tuttavia, l'unica via per interpretare i risultati della ricerca scientifica. E' la maniera dominante, ma non la sola. Lo stesso Harry propende per una visione assai meno ottimistica e rassicurante: la scienza ci svela un universo muto e indifferente all'uomo, sorto dal nulla per tornarvi dopo una vita di sofferenze (una visione leopardiana). Ma anche questa non è la scienza: è solo una posizione filosofica dedotta più o meno correttamente da certi risultati della ricerca scientifica.
"Freud diceva che le due cose più importanti della vita sono il lavoro che scegliamo e il sesso". Sono parole che Harry dice al figlio, durante una strampalata e inopportuna (per il luogo) conversazione. Sesso e lavoro. Questi, nella vulgata psicoanalitica presa come riferimento dal protagonista, sono il fulcro della vita di una persona. Una volta trovato l'equilibrio in questi due ambiti la vita sarà, forse non felice, ma neppure penosa come spesso si può osservare. Colpisce, come già accennato, la centratura sull'individuo, la persuasione che ciò che conta nella vita umana sono soltanto le dinamiche interpersonali, il rapporto esclusivo tra uomo e uomo, uomo e società. Il mondo, così come qualunque riferimento "oggettivo", è andato perduto. Una forma di antropocentrismo proprio in quell'epoca che si vanta d'averlo, per la prima volta nella storia dell'umanità, bandito.
Per concludere: Allen rappresenta Harry chiuso nella sua disperazione di ateo materialista, angosciato dall'insensatezza dell'esistenza e dal "silenzio" dell'universo, salvo ironizzare intelligentemente sul fatto che potrebbe essere una scusa per continuare a fare i propri comodi, infischiandosene di serietà di vita, impegni e rispetto degli altri. Anche in questo caso (quando ammette, cioè, la sua natura egocentrica e capricciosa) resta comunque chiuso all'interno di un'altra dinamica tutta umana, quella del rapporto conflittuale tra l'idillio "borghese" e l'individualismo contemporaneo, al cui cuore sta la felicità e la realizzazione dell'individuo, ovverosia la pretesa che vengano accettati e perfino benedetti tutti i suoi capricci (e sull'idillio borghese alla base del matrimonio - matrimonio ormai ridottosi, soprattutto negli Stati Uniti, a oggetto di consumo, da cambiare più volte nella vita, una sorta di sanzione passeggera all'infatuazione del momento - ci sarebbero diverse considerazioni da fare). Sempre il singolo, ancora il singolo. Con questi al centro, non si può che naufragare.
L'opposizione tra scienza e fede è l'opposizione tra due posizioni che non sono, o non sono più (è il caso della fede) concrete alternative di vita. La fede (sia essa cristiana o, come nel caso di Woody Allen, ebraica) è oramai svuotata, nella maggior parte dei casi, di un concreto riferimento esistenziale e ontologico. Avendo perduto il ruolo di guida non dei singoli, ma della società, si è ridotta a roccaforti polemiche che, tuttavia, vivono una quotidianità che non è più religiosamente plasmata e organizzata, ma che, anzi, si caratterizza, forse per la prima volta nella storia dell'umanità, per una pressoché totale assenza di religiosità, in qualunque forma essa si declini. Desacralizzazione del cosmo, disincanto del mondo: lo si chiami come si preferisce, non cambia la sostanza di quanto ciò comporta. La scienza, da par suo, benché abbia celebrato e celebri il proprio trionfo attraverso capacità predittive e applicazioni tecniche sbalordenti (altra cosa è la sua reale portata conoscitiva: deciderne implica anzitutto la scelta di un determinato concetto di conoscenza), è strutturalmente inadeguata a dare risposte ad alcuni dei principali problemi dell'esistenza umana. Dalle questioni morali (che, tra l'altro, la tecnologia ha moltiplicato) alle domande di senso, la scienza risulta priva di risposte. Non è, tuttavia, una critica al sapere scientifico. Semplicemente questi non sono problemi che la scienza si ponga. Problemi che possono stare anche a monte della ricerca, la cui soluzione può perfino condizionarla o bloccarla (si pensi a certe posizioni in materia di bioetica), ma, nel suo quotidiano divenire, non la riguardano. Anche la stessa idea che la ricerca debba comunque proseguire o, per dirla con l'enfasi di certuni, che "non si può bloccare il progresso", non le appartiene. Si tratta di una posizione filosofica pregna d'utopismo e d'ottimismo conoscitivo e, soprattutto, antropologico. Una posizione che spesso si ritrova nello scientismo, visione filosofica sorta nell'Ottocento e ancora diffusissima, se non dominante, nel mondo occidentale, anche dopo che Nietzsche e altri grandi filosofi hanno mostrato come certi valori morali associati alla scienza non siano altro che valori cristiani camuffati (l'onestà intellettuale, ritenuto valore cardine della ricerca scientifica, senza la quale è impossibile fare scienza, è un valore strumentale allo scopo di ottenere determinati risultati. Basti ricordare i grandi progressi avutisi durante il nazismo o la dedizione e l'entusiasmo delle migliaia di persone impegnate nel progetto Manhattan. E senza contare che l'onestà intellettuale la si può trovare anche nelle persone più spregevoli: si vedano le giustificazioni di Adolf Eichmann durante il processo di Gerusalemme, riportate da Hannah Arendt nel suo La banalità del male). Lo scientismo non è, tuttavia, l'unica via per interpretare i risultati della ricerca scientifica. E' la maniera dominante, ma non la sola. Lo stesso Harry propende per una visione assai meno ottimistica e rassicurante: la scienza ci svela un universo muto e indifferente all'uomo, sorto dal nulla per tornarvi dopo una vita di sofferenze (una visione leopardiana). Ma anche questa non è la scienza: è solo una posizione filosofica dedotta più o meno correttamente da certi risultati della ricerca scientifica.
"Freud diceva che le due cose più importanti della vita sono il lavoro che scegliamo e il sesso". Sono parole che Harry dice al figlio, durante una strampalata e inopportuna (per il luogo) conversazione. Sesso e lavoro. Questi, nella vulgata psicoanalitica presa come riferimento dal protagonista, sono il fulcro della vita di una persona. Una volta trovato l'equilibrio in questi due ambiti la vita sarà, forse non felice, ma neppure penosa come spesso si può osservare. Colpisce, come già accennato, la centratura sull'individuo, la persuasione che ciò che conta nella vita umana sono soltanto le dinamiche interpersonali, il rapporto esclusivo tra uomo e uomo, uomo e società. Il mondo, così come qualunque riferimento "oggettivo", è andato perduto. Una forma di antropocentrismo proprio in quell'epoca che si vanta d'averlo, per la prima volta nella storia dell'umanità, bandito.
Per concludere: Allen rappresenta Harry chiuso nella sua disperazione di ateo materialista, angosciato dall'insensatezza dell'esistenza e dal "silenzio" dell'universo, salvo ironizzare intelligentemente sul fatto che potrebbe essere una scusa per continuare a fare i propri comodi, infischiandosene di serietà di vita, impegni e rispetto degli altri. Anche in questo caso (quando ammette, cioè, la sua natura egocentrica e capricciosa) resta comunque chiuso all'interno di un'altra dinamica tutta umana, quella del rapporto conflittuale tra l'idillio "borghese" e l'individualismo contemporaneo, al cui cuore sta la felicità e la realizzazione dell'individuo, ovverosia la pretesa che vengano accettati e perfino benedetti tutti i suoi capricci (e sull'idillio borghese alla base del matrimonio - matrimonio ormai ridottosi, soprattutto negli Stati Uniti, a oggetto di consumo, da cambiare più volte nella vita, una sorta di sanzione passeggera all'infatuazione del momento - ci sarebbero diverse considerazioni da fare). Sempre il singolo, ancora il singolo. Con questi al centro, non si può che naufragare.
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